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I GIGANTI DELLA MONTAGNA

  I giganti della montagna

 

È l’ultima opera di Pirandello ed è incompiuta. Resta comunque il testamento estetico del teatro pirandelliano.

La trama è ai più nota: La compagnia della contessa Ilse arriva alla villa detta “La Scalogna” dove vive un gruppo di diseredati, guidati dal così detto “mago Cotrone” che dà loro rifugio. Cotrone, dietro il quale si cela lo stesso autore, è il perno centrale che muove le fila del dramma, il “deus ex machina” o come la regia di Morgese lo interpreta, il grande burattinaio o marionettista che muove i fili del suo gruppo, grottescamente assiepato nella villa abbandonata ed infestata dagli spiriti; ma Cotrone è anche qualcosa di più: è colui che vive rifugiato o emarginato nella propria illusione, nella folle e paradossale concezione che il Teatro possa vivere di per sé, luogo della magia in cui i personaggi, come fantasmi, vivono di vita propria, generati dalla testa dell’autore; tema quest’ultimo già trattato più volte da Pirandello. Il teatro deve vivere in un luogo protetto lontano dalla società volgare e del progresso tecnologico, lontano da quei “Giganti”, da quegli uomini mostruosi, abbrutiti dalla vita quotidiana del mondo d’oggi. I Giganti sono uomini che hanno abdicato dalla loro funzione etica e morale della società a favore della nuova divinità del progresso. Morgese legge il finale partendo da questo presupposto: la poesia viene massacrata dalla tecnologia e dal profitto che regola il mondo: quello del consumismo di massa di cui coscienti o incoscienti siamo oggi vittime. Pirandello descrive nel suo testamento artistico la morte del Teatro. Il finale incompiuto non lascia spazio alle interpretazioni, il messaggio di Pirandello non lascia alcuna speranza e l’interpretazione estetica e sostanziale di Giorgio Strehler ne è la sublimazione.

 

Note di regia

L’opera pirandelliana de I giganti della montagna è stata oggetto della mia tesi di laurea alla facoltà di lettere di Napoli. Il mio primo approccio dunque è stato di carattere scientifico e critico, un mero approccio letterario. Fare regia invece vuol dire fare teatro ed oggi mettere in scena I giganti di Pirandello vuol dire fare “del teatro al quadrato”. Sottolineo “fare la regia oggi” e metto in grassetto “oggi”. Siamo all’alba di un nuovo mondo teatrale o al tramonto? Un bambino che vede un’alba e non sa che si chiama alba dirà solo: guarda, quello è il sole! Ecco ho scelto di “guardare il sole” senza sapere se tramonta o sorge. Mi sono sforzato di essere semplicemente fedele all’autore. E qualsiasi sia il risultato, sento di esserlo. Ho cercato di estrapolare dal testo tutta quanta la sua sostanza e i suoi significati, fedelmente. Il sacro binomio di realtà – finzione, la dicotomia dell’essere o non essere la ritroviamo spalmata ovunque in questo testo: in ogni pagina, in ogni rigo, in ogni parola di questo testamento appassionato. I teatranti testimoniano il sacrificio dell’arte, i Giganti il fanatismo della vita. Come dice Pirandello: “gli uomini che si sono dedicati a potenziare la loro materialità sono diventati ottusi e volgari”. I giganti della montagna siamo dunque noi? Anche noi? noi che ogni giorno prendiamo a calci la natura, la bellezza, la poesia della vita, alla quale siamo sempre più indifferenti. I giganti sono il pubblico che applaude per apatia, per assuefazione e che non riesce più a distinguere uno spettacolo di teatro da una fiction in tv. Loro o noi che trascorriamo ore allo smartphone in cerca di nuove e diverse artificiali emozioni di vita. Ed è questo pubblico mostruoso, nutrito dai Giganti, che uccide la contessa, quando la compagnia reciterà quasi un’eroica sfida di fronte ad esso, come si legge dagli appunti del figlio Stefano a cui Pirandello dettò il finale in punto di morte. Partendo da queste riflessioni, ho cominciato il mio percorso tre anni fa, attraverso una serie di laboratori per attori e allievi attori in tutta Italia, consapevole della complessità del lavoro. Il testo è molto difficile da raccontare e da rappresentare, ma sono i personaggi con le loro scelte di vita e di pensiero a spiegarne l’intreccio. L’intreccio parla chiaro: presenta due punti di vista, due poli attorno a cui si raggruppano le vicende e i sentimenti dei personaggi. Da un lato il mago Controne e dall’altro Ilse, due facce della stessa medaglia: due punti di vista del modo di concepire il teatro e l’arte in generale. Il teatro deve vivere come opera assoluta per se stesso o il teatro deve vivere come opera per il pubblico? La risposta necessariamente la deve dare lo spettatore. È un’interpretazione ed in quanto tale, non può prescindere da un punto di vista meramente soggettivo. La mia traduzione scenica è e vuole essere filologica e dunque teatrale. Pirandello è Teatro con la “t” maiuscola, su questo non si discute. Se da un lato c’è il carro strehleriano simbolo dei comici, questo allestimento non contempla alcun realismo: nessuna villa della Scalogna, nessun arsenale delle apparizioni. Ci sono solo due mondi uno alto, sul palcoscenico ed uno basso, giù in platea: Il mondo della follia, dell’arte e della poesia sulle tavole del palcoscenico ed il mondo della realtà, della quotidianità, dell’utilità, giù in platea.

I comici devono elevarsi al mondo creato da Cotrone o vivere il martirio fino in fondo? La Scalogna è l’ultima spiaggia, il Purgatorio per la salvazione finale. Ilse sceglie il sacrificio e con lei i comici: restare giù “nell’inferno dei viventi” per dirla con Calvino, e andare fino in fondo verso il loro destino. Sul palcoscenico vuoto solo segni, tagli di luce, accenni di una foresta incantata come l’arsenale delle apparizioni e la stessa villa infestata dagli spiriti, un’enorme quadro, una tela tagliata, omaggio a Lucio Fontana. Nel costruire il teatralissimo affresco dei Giganti della montagna ho scelto una chiave figurativa che adotta una miscela di classicismo e surrealismo, di grottesco e simbolismo al tempo stesso. Non c’è dento né fuori, ma echi che sanno dei famosi tagli di tela di Fontana e dell’irrazionale caro a De Chirico e Savinio. Un mondo onirico di spiriti che il mago Cotrone genera con meccanismi teatrali grotteschi e dichiaratamente finti, un Cotrone ciarlatano, che riesce ad illudere tutti i presenti, un Cotrone a volte cialtrone che manovra tutto e tutti nel suo teatrino / villa. Sono partito dunque, come reputo abbiano fatto tutti i registi prima di me, dallo studio della celebre regia di Giorgio Strehler passando per altre interessanti rappresentazioni del passato e degli ultimi anni. In tempi così bui per il teatro come quelli che viviamo, la scelta del testo non è casuale: la mia vuole essere, alla pari di Pirandello e di altri registi, una denuncia disperata dell’indifferenza della società per il teatro e per la poesia in generale. La poesia a cui Ilse si da anima e corpo. Ilse infatti non ci sta. La strada non è quella degli Scalognati. L’arte deve vivere del pubblico a cui si dona e dunque a cui si sacrifica in nome di un bene assoluto chiamato amore. Ilse vince perché arriva fino in fondo: davanti ad un pubblico sordo e indifferente, dove ciascuno annega nei follower del suo Facebook e tra le chat alienanti di centinaia di social media, la poesia muore. Ilse lo sa, come anche Cotrone.

Manuele Morgese

 

Di Luigi Pirandello

Con: Manuele Morgese, Monica Pisano, Aldo Sicurella, Giuseppe Vignolo, Giusy Medde, Caterina Melis,

        Efisio Granata, Tiziana Arceri, Jan Maccioni, Stefano Corda

Scene e costumi Manuele Morgese

Coreografie Francesca La Cava

Regia Manuele Morgese

Una coproduzione TeatroZeta L' Aquila e Teatro Instabile Paulilatino (OR)

 

Tecnica utilizzata: Teatro d'attore
Fascia d'età: 17/18 anni - serale
Durata: 90 min.
Locandina logo jpeg rosso

 

Foto di scena